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martedì 4 dicembre 2012

RECENSIONE

                                                   RENATO TESTA
 
«LA MALAFEDE. Perché è indecente essere cristiani»
 
Albatros Il Filo, Roma 2012 - ISBN 9788856758184
pp. 474 - € 19,50 

      “Il nostro tempo sa… Ciò che prima era solo patologico oggi è diventato indecente - essere cristiani oggi è indecente”Così Nietzsche alla fine dell’Ottocento.
      Che cosa sa il nostro tempo? Che il cristianesimo è solo un’accozzaglia di miti e leggende, di assurdità ormai improponibili. Il libro di Renato Testa «La Malafede. Perché è indecente essere cristiani» non fa altro che ribadire con dati e argomenti solidissimi questa solare verità.
      Nonostante la mole il libro non è pesante, è di facile e gradevole lettura, scritto in uno stile scorrevole e brioso, con tono spesso ironico, a volte sarcastico e beffardo.
      L’autore, che professa un radicale ateismo, parte da lontano e innanzitutto fornisce una critica rigorosa delle tradizionali prove dell’esistenza di dio (ontologica, cosmologica o causale, finalistica) e del più recente argomento del “progetto intelligente”.
      Di contro esibisce due formidabili prove della sua non esistenza: la prima, fondata sul problema del male (si Deus est, unde malum?), la seconda, che fa leva sulla non evidenza di dio nel mondo (si Deus est, ac nobiscum est, ubi sunt mirabilia eius?).
      Ma il piatto forte è la critica del cristianesimo, più precisamente del cattolicesimo, che si basa sui suoi due testi-chiave: la Bibbia (quella di Gerusalemme, testo e commento approvati dalla Conferenza episcopale italiana), che contiene, dicono, la parola infallibile di dio, e il Catechismo della Chiesa cattolica, che contiene, dicono, l’insegnamento infallibile della Chiesa.
      Questa ha l’ardire di affermare ancora oggi con sfacciata impudenza che i libri sia dell’Antico che del Nuovo Testamento, con tutte le loro parti, essendo stati scritti sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, hanno dio per autore e perciò insegnano fermamente, fedelmente e senza errore la verità.
      E’ chiaro che un libro il cui autore è dio stesso - che essendo onnipotente può far scrivere agli agiografi tutte e soltanto quelle cose che egli vuole - deve essere un libro del tutto straordinario, speciale, un libro in cui rifulge immediatamente ed evidentemente tutta la grandezza, la sapienza e la perfezione divina.
      Testa ha buon gioco nel mostrare come sia l’Antico che il Nuovo Testamento siano farciti di tali e tanti errori e orrori, falsità e sciocchezze, oscenità e contraddizioni, che dimostrano, al di là di ogni ragionevole dubbio, che il cosiddetto Testo Sacro è miserabile opera di impudenti impostori umani, né più né meno che gli altri testi di cui nelle altre religioni - un esempio fra tutti: il Corano - si millanta l’origine divina.
      E’ questa forse la parte più godibile del libro, in cui l’autore si diverte - e si divertirà anche il lettore - a smascherare le ingenuità, i trucchi, le mistificazioni degli agiografi.
      Molte delle imposture e delle menzogne denunciate da Testa sono risapute, ben note agli addetti ai lavori, e ciascuno può rendersene conto da solo se legge con spirito critico la Bibbia; ma non bisogna stancarsi di ripeterle, perché ancora troppi oggi continuano, nonostante ciò, a dirsi cristiani.
      Due esempi: come si può continuare ad affermare che è amore, che è bontà infinita, un dio che ha escogitato la dannazione eterna dell’inferno per i suoi figli? Come si può credere ancora ad un profeta il quale promise solennemente che sarebbe di lì a poco (“non passerà questa generazione”) venuto a giudicare i vivi e i morti ed ancora non si è visto?
      Le gerarchie ecclesiastiche sono in massima parte in malafede, perché loro non possono non sapere. Ma la malafede del cristianesimo non è solo questa, il cristianesimo è una mala-fede anche perché professa dei valori che sono in realtà disvalori.
      Gesù disse all’apostolo Tommaso che aveva voluto vedere e toccare le ferite nelle mani e nel costato prima di credere alla sua precedente apparizione: “Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno” (Gv 20, 24-29). Qui si esalta la credulità. Oggi un simile principio è inaccettabile. Per noi l’atteggiamento giusto è proprio quello di Tommaso, quello della scienza, non quello della fede: bisogna vedere, controllare, verificare, prima di credere. E credere bisogna non dogmaticamente, bensì fino a prova contraria.
      Ascetismo, pauperismo, umiltà, mortificazione della carne, sessuofobia sono valori medievali, valori antivitali di un’umanità che rinunciava a vivere su questa terra per inseguire un’illusoria beatitudine eterna dopo la morte.
      Testa definisce i più celebrati precetti della morale evangelica nobili e sublimi idiozie. Non giudicate, porgi l’altra guancia, perdona settantasette volte sette, amate i vostri nemici… belle parole che suonano bene, ma che sono impossibili da mettere in pratica. Ha ragione Robert G. Ingersoll: “Se un uomo, oggi, seguisse gli insegnamenti del Vecchio Testamento, sarebbe un criminale. Se seguisse rigorosamente quelli del Nuovo, sarebbe pazzo”.
      Il libro, dopo un serrato confronto col Messori di «Qualche ragione per credere», dal quale emerge ancora una volta che non ci sono serie, valide ragioni per credere, si conclude rilevando che l’uomo moderno, anche se lo volesse, non può più tornare a prestar fede alle favole antiche che incantarono l’umanità bambina. Ormai sa, e non può far finta di non sapere. Ci siamo svegliati e il sogno - o l’incubo - è svanito: dio è morto. Indietro non si torna.

                        Mario Trevisan

                                                   
Renato Testa (renato.testa@hotmail.it) è nato a Pignataro Maggiore (Caserta) il primo gennaio del 1946. Si è laureato a "La Sapienza" di Roma in Lettere e in Filosofia. Ha insegnato materie umanistiche in vari licei scientifici. Ora in pensione, vive a Verona. Ha già pubblicato: Dall'attualismo all'empirismo assoluto, CADMO editore, 1976, e Il pensiero di Franco Lombardi, Armando Editore, 1995.